Anatocismo 2014: condannate Popolare di Milano, Deutsche Bank e Ing alla restituzione della maggiori somme addebitate ai correntisti
Nuove cause in arrivo dopo le rivoluzionarie ordinanze di Milano, nuove opportunità per farsi restituire gli interessi pagati sugli interessi.
Ai più sono sfuggite, forse perché in concomitanza con le festività pasquali, le due importantissime – diremmo quasi rivoluzionarie – ordinanze del Tribunale di Milano [1], secondo cui l’anatocismo praticato dalle banche sarebbe ormai completamente bandito dal nostro ordinamento dal 1° gennaio 2014, data cioè di entrata in vigore della Legge di Stabilità 2014 [2].
In effetti, benché la finanziaria dello scorso anno ne avesse subordinato la nullità all’adozione di una delibera attuativa del Cicr (il Comitato interministeriale del Credito e Risparmio), peraltro mai emanata, secondo i giudici meneghini non c’è ragione di attendere tale atto (e chissà, del resto, quanto ancora avremmo dovuto aspettare): la norma è già sufficientemente specifica nel mettere fuorilegge l’odiata pratica bancaria che, per anni, è stata causa dello svuotamento dei portafogli di numerosi clienti con un mutuo, un finanziamento, un contratto di affidamento bancario o semplicemente con il conto in rosso.
In questo modo, la sentenza ha condannato alcune banche di livello nazionale (Banca popolare di Milano, Deutsche Bank e Ing Bank) alla restituzione delle maggiori somme richieste, sino ad oggi, al proprio cliente, calcolando gli interessi non solo sul capitale, ma sul capitale maggiorato degli interessi già prodotti nel trimestre precedente.
Facciamo dunque il punto della situazione.
L’anatocismo ha sempre trovato una netta e robusta opposizione dei giudici. Le banche, dal 1952 e fino all’entrata in vigore della delibera Cicr del 9 febbraio 2000, hanno previsto nei loro contratti la capitalizzazione degli interessi in modo “asimmetrico”, ossia in termini più vantaggiosi quando a riscuotere gli interessi (passivi) è la banca e meno vantaggiosi quando invece il creditore è il correntista.
In particolare,
– a favore della banca, l’anatocismo veniva calcolato con decorrenza trimestrale.
– mentre quello a favore dei clienti veniva capitalizzati con decorrenza annuale.
Le banche pensavano che l’inserimento della clausola di capitalizzazione “asimmetrica” costituisse un legittimo uso, a differenza di quanto invece a più riprese ha stabilito la Cassazione.
Successivamente, la delibera Cicr del 9 febbraio 2000 ha permesso alle banche di addebitare interessi anatocistici sui conti correnti a condizione che venisse stabilita, nel contratto con il cliente, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori e che le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi venissero approvate per iscritto dal correntista.
Poi la rivoluzione: la legge di Stabilità del 2014 ha introdotto dal 1° gennaio dell’anno scorso il divieto di anatocismo. Allo stesso tempo, però, ha voluto rinviare la patata bollente al Cicr, lasciando che fosse quest’ultimo a stabilire modalità e criteri per la produzione degli interessi bancari.
Nell’attesa di tale delibera del Cicr, le banche – neanche a dirlo – non si sono astenute, prudenzialmente, dall’applicare l’anatocismo, ma al contrario hanno continuato (così come sempre avevano fatto) a fare incetta di interessi maggiorati “a cascata”, giustificando tale comportamento proprio per via dell’assenza della delibera in questione, in attesa quindi di “comprendere” come interpretare la nuova legge.
Da oggi, dopo le ordinanze del Tribunale di Milano, non c’è più nulla da comprendere perché la norma, ci dicono i giudici, è già chiara di per sé stessa e dunque, già dal primo gennaio 2014 e a prescindere dall’adozione della delibera del Cicr, le banche non possano calcolare gli interessi sugli interessi sia per i nuovi contratti sia per quelli già in essere.
In concreto, cosa cambierà?
È chiaro che una sentenza di questo tipo farà la felicità dei correntisti, specie di quelli che attendevano un appiglio giurisprudenziale qualsiasi pur di vedere defalcate le somme ingiunte dagli istituti di credito e proporre opposizione ai decreti ingiuntivi o alle esecuzioni forzate (ricordiamo, infatti, che il mutuo stipulato davanti al notaio è già un titolo esecutivo e consente il pignoramento senza bisogno di passare da una previa causa di accertamento del credito).
Richiamare un precedente di tale tenore potrebbe significare una vittoria notevole per i cittadini.
Senza fare previsioni troppo avventate, c’è da scommettere che questo orientamento farà fiorire un nuovo filone di cause contro le banche. Dal canto loro, gli istituti di credito fanno sapere che “questa vicenda, che interessa tutto il sistema bancario nazionale, si è verificata a causa di un assetto normativo non completo, dovuto alla perdurante assenza di regole amministrative che, secondo il Testo unico bancario, dovrebbero stabilire modalità e criteri per la produzione degli interessi nei rapporti bancari, al fine di dare certezza a clienti e operatori”.
Ci saranno conseguenze?
Il rischio ora è che ciò che non può entrare dalla porta, rientri dalla finestra. Le banche, il condizionale è d’obbligo, potrebbero tentare di recuperare quanto dovranno restituire ai propri clienti stante l’enorme posta in gioco, dato che per il solo 2014 si stimano possibili rimborsi per 2 miliardi di euro per compensare i quali non sarebbe difficile prevedere un aumento dei tassi passivi in conseguenza della mancata capitalizzazione.
[1] Trib. Milano ord. del 25.03.2015 e del 3.04.2015.
[2] L. n. 147/2013 co. 629 che ha modificato l’art. 120 T.U.B.
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Ora è vietata la capitalizzazione degli interessi non solo trimestrali, ma anche di quelli annuali: storica decisione della Suprema Corte.
Un biennio davvero duro per le banche quello tra il 2014 e il 2015. E – c’è da scommetterlo – gli anni che verranno non saranno più facili. Questo perché, dopo la storica sentenza del Tribunale di Milano [1] dello scorso marzo che ha dichiarato illegittimo l’anatocismo dopo la sostanziale abolizione ad opera della finanziaria del 2014 [2], senza che ci sia bisogno (così come in un primo tempo si era creduto) delle delibere attuative del CICR, pochi minuti fa un colpo ancora più duro è stato inferto dalla stessa Cassazione.
Con una sentenza appena pubblicata [3], la Suprema Corte ha decretato il definitivo “stop” alla capitalizzazione annuale degli interessi: non solo quella “trimestrale”, ma anche quella “annuale”, così come, dopo gli ultimi orientamenti giurisprudenziali, le banche avevano iniziato ad applicare per bypassare i divieti e le condanne dei giudici.
È irrilevante, secondo i giudici della Cassazione, l’arco temporale della pratica scorretta: mancano, infatti, norme e usi che possano legittimarla.
Insomma, ora non ci sono più scuse e non sembrano esserci ostacoli per l’avvio di azioni di massa di risarcimento contro gli istituti di credito onde recuperare il “maltolto” di questi ultimi anni. Chi ha ricevuto un finanziamento, un mutuo, un’apertura di credito o ha avuto semplicemente il conto in rosso si è visto letteralmente prosciugare il portafogli dalla voce “interessi” sul prestito, proprio perché, in contratto, ha firmato la clausoletta che ha consentito alla banca di calcolare, a fine anno, gli interessi non solo sul capitale prestato, ma anche sugli interessi degli anni precedenti.
Ebbene, ora il divieto di anatocismo fa un’altra vittima illustre: dopo la capitalizzazione trimestrale anche quella annuale deve ritenersi illegittima perché non conta l’arco temporale entro cui la banca applica una prassi illegittima che non trova riscontro in alcuna norma né uso.
Viene così smentito, definitivamente, quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ritenuta ormai pacifica l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale, dovrebbe tuttavia reputarsi, almeno implicitamente, la validità della capitalizzazione annuale. Invece non è così. Secondo la Cassazione, non solo mancano regole apposite ma – si legge in sentenza – in tutti i cinquant’anni che hanno preceduto gli interventi legislativi in materia adottati negli anni novanta del secolo scorso non si rileva alcuna consuetudine alla capitalizzazione annuale degli interessi debitori né di necessario bilanciamento con quelli creditori. Insomma: trarre quella conseguenza da parte di una certa giurisprudenza è “assolutamente arbitrario”.
Alla banca non resta che ridurre spontaneamente gli interessi anatocistici e trovare una soluzione pacifica con i cittadini, prima che questi propongano le opposizioni a decreti ingiuntivi o alle altre richieste di pagamento. E questo perché, diversamente, i costi che questa nuova mole di contenzioso potrebbe produrre, finirebbero per essere riversati, ancora una volta, sulla collettività. Le banche, infatti, per recuperare le forti perdite, saranno spinte ad aumentare commissioni e i corrispettivi per i servizi resi.
Il divieto nella legge di stabilità del 2014
Ricordiamo che l’anatocismo dovrebbe essere già completamente vietato dopo il 1° gennaio 2014: la legge di stabilità dell’anno scorso [1], infatti, ha modificato il testo unico bancario, mettendo fine alla prassi agli interessi sugli interessi dei conti correnti. Ma se la legge aveva subordinato l’effettiva entrata in vigore del divieto alla regolamentazione del CICR (il comitato interministeriale per il credito e il risparmio), secondo il tribunale di Milano, invece [1], la riforma non necessita di attuazioni e si può considerare sin dall’anno scorso già in vigore.
Non conta per i giudici che anche Bankitalia sostenga che il testo unico bancario rimarrebbe sospeso fino all’intervento del Cicr delegato ad adottare una delibera ad hoc: il divieto di addebitare interessi anatocistici passivi sui conti correnti deve ritenersi già in vigore da un pezzo: non si può infatti attribuire a un organo del potere esecutivo (quale appunto è il CICR) il compito di attribuire significato a un atto legislativo come la modifica introdotta dalla legge di Stabilità 2014, pena una “palese violazione dei più elementari principi in materia di separazione dei poteri dello Stato”.
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[1] Trib. Milano, sent. del 25.03.2015 e del 3.04.2015.
[2] L. n. 147/2013, co. 629 che è andata a riscrivere l’art. 120 del Testo Unico Bancario (TUB).
[3] Cass. sent. n. 9127/15 del 6.05.2015.
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Ora è vietata la capitalizzazione degli interessi non solo trimestrali, ma anche di quelli annuali: storica decisione della Suprema Corte.
Un biennio davvero duro per le banche quello tra il 2014 e il 2015. E – c’è da scommetterlo – gli anni che verranno non saranno più facili. Questo perché, dopo la storica sentenza del Tribunale di Milano [1] dello scorso marzo che ha dichiarato illegittimo l’anatocismo dopo la sostanziale abolizione ad opera della finanziaria del 2014 [2], senza che ci sia bisogno (così come in un primo tempo si era creduto) delle delibere attuative del CICR, pochi minuti fa un colpo ancora più duro è stato inferto dalla stessa Cassazione.
Con una sentenza appena pubblicata [3], la Suprema Corte ha decretato il definitivo “stop” alla capitalizzazione annuale degli interessi: non solo quella “trimestrale”, ma anche quella “annuale”, così come, dopo gli ultimi orientamenti giurisprudenziali, le banche avevano iniziato ad applicare per bypassare i divieti e le condanne dei giudici.
È irrilevante, secondo i giudici della Cassazione, l’arco temporale della pratica scorretta: mancano, infatti, norme e usi che possano legittimarla.
Insomma, ora non ci sono più scuse e non sembrano esserci ostacoli per l’avvio di azioni di massa di risarcimento contro gli istituti di credito onde recuperare il “maltolto” di questi ultimi anni. Chi ha ricevuto un finanziamento, un mutuo, un’apertura di credito o ha avuto semplicemente il conto in rosso si è visto letteralmente prosciugare il portafogli dalla voce “interessi” sul prestito, proprio perché, in contratto, ha firmato la clausoletta che ha consentito alla banca di calcolare, a fine anno, gli interessi non solo sul capitale prestato, ma anche sugli interessi degli anni precedenti.
Ebbene, ora il divieto di anatocismo fa un’altra vittima illustre: dopo la capitalizzazione trimestrale anche quella annuale deve ritenersi illegittima perché non conta l’arco temporale entro cui la banca applica una prassi illegittima che non trova riscontro in alcuna norma né uso.
Viene così smentito, definitivamente, quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ritenuta ormai pacifica l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale, dovrebbe tuttavia reputarsi, almeno implicitamente, la validità della capitalizzazione annuale. Invece non è così. Secondo la Cassazione, non solo mancano regole apposite ma – si legge in sentenza – in tutti i cinquant’anni che hanno preceduto gli interventi legislativi in materia adottati negli anni novanta del secolo scorso non si rileva alcuna consuetudine alla capitalizzazione annuale degli interessi debitori né di necessario bilanciamento con quelli creditori. Insomma: trarre quella conseguenza da parte di una certa giurisprudenza è “assolutamente arbitrario”.
Alla banca non resta che ridurre spontaneamente gli interessi anatocistici e trovare una soluzione pacifica con i cittadini, prima che questi propongano le opposizioni a decreti ingiuntivi o alle altre richieste di pagamento. E questo perché, diversamente, i costi che questa nuova mole di contenzioso potrebbe produrre, finirebbero per essere riversati, ancora una volta, sulla collettività. Le banche, infatti, per recuperare le forti perdite, saranno spinte ad aumentare commissioni e i corrispettivi per i servizi resi.
Il divieto nella legge di stabilità del 2014
Ricordiamo che l’anatocismo dovrebbe essere già completamente vietato dopo il 1° gennaio 2014: la legge di stabilità dell’anno scorso [1], infatti, ha modificato il testo unico bancario, mettendo fine alla prassi agli interessi sugli interessi dei conti correnti. Ma se la legge aveva subordinato l’effettiva entrata in vigore del divieto alla regolamentazione del CICR (il comitato interministeriale per il credito e il risparmio), secondo il tribunale di Milano, invece [1], la riforma non necessita di attuazioni e si può considerare sin dall’anno scorso già in vigore.
Non conta per i giudici che anche Bankitalia sostenga che il testo unico bancario rimarrebbe sospeso fino all’intervento del Cicr delegato ad adottare una delibera ad hoc: il divieto di addebitare interessi anatocistici passivi sui conti correnti deve ritenersi già in vigore da un pezzo: non si può infatti attribuire a un organo del potere esecutivo (quale appunto è il CICR) il compito di attribuire significato a un atto legislativo come la modifica introdotta dalla legge di Stabilità 2014, pena una “palese violazione dei più elementari principi in materia di separazione dei poteri dello Stato”.
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[1] Trib. Milano, sent. del 25.03.2015 e del 3.04.2015.
[2] L. n. 147/2013, co. 629 che è andata a riscrivere l’art. 120 del Testo Unico Bancario (TUB).
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