Con la recente sentenza numero 17292/15 del 31 agosto 2015 la suprema Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sul delicato tema della responsabilità dei medici sia per quanto riguarda l’ambito penale che quello civile.
Stando a quanto ha deliberato la Corte di Cassazione nello stabilire la perizia effettuata in sede penale dal consulente tecnico d’ufficio (CTU) non ha valore in sede di processo civile. Una scelta che si è resa necessaria per dividere i due ambiti di applicazione, quello civile e quello penale, che per loro natura hanno un criterio di definizione della responsabilità medica totalmente differente, con regole certamente più rigide per quanto concerne l’ambito del diritto penale rispetto a quelle utilizzate in sede civile.
Per una maggiore chiarezza
Per quanto riguarda la responsabilità medica in sede di processo penale, la verifica del reato avviene in seguito ad un rigido accertamento del rapporto causa – effetto tra la condotta colpevole e negligente del medico ed il danno procurato al paziente. In sede di processo civile invece la responsabilità medica avviene imbattendosi nell’inadempimento degli obblighi a carico del medico ed il danno verificatosi sia una conseguenza probabile anche se non certa facendo riferimento al cosiddetto criterio del più probabile che non diventato oramai consuetudinario nell’ambito della giurisprudenza civile.
Ragionando in termini strettamente percentuali, si può notare come il nesso di causalità tra fatto ed evento sia identificabile intorno al 50% più 1 rispetto a quello molto più rigido superiore al 90% applicato in sede di processo penale. Per queste motivazioni la suprema Corte di Cassazione ha confermato ancora una volta la necessità che la perizia eseguita in ambito penale non possa essere utilizzata in sede civile ma che questa debba essere ripetuta per stabilire il risarcimento del danno. Una decisione che tende a fare chiarezza su questo tema quanto mai difficile da affrontare visti i numerosi casi di malasanità che puntualmente ci si trova ad affrontare.